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Intelligent News | Novembre 2020

In una risoluzione sul mercato unico sostenibile approvata da 20 persone (2 hanno votato contro, 23 si sono astenuti), i deputati chiedono alla Commissione Europea di garantire ai consumatori il “diritto alla riparazione” rendendo le riparazioni più attraenti, sistematiche ed efficienti in termini di costi. Chiedono inoltre alla Commissione di prendere in considerazione l’etichettatura di prodotti e servizi in base alla loro durata (ad esempio un contatore di utilizzo e informazioni chiare sulla durata stimata di un prodotto). Secondo Eurobarometro, il  77%  dei cittadini dell’UE preferirebbe riparare i propri dispositivi piuttosto che sostituirli e il  79%  pensa che i produttori dovrebbero essere tenuti a semplificare la riparazione dei dispositivi digitali o la sostituzione delle loro singole parti.

È su questo principio del riuso e del diritto alla riparazione che si basa da alcuni anni la campagna Black Friday di Patagonia, che anche quest’anno non fa mancare la sua voce

Patagonia Buy Less Buy Used Repair Campaign

Nel 2011, Patagonia ha preso posizione contro il consumismo del Black Friday con un audace annuncio del New York Times che recava la frase “Non comprare questa giacca”. Questo Black Friday, Patagonia sta incoraggiando un altro cambiamento con il lancio di ‘Buy Less, Buy Used. Repair’, un’iniziativa di economia circolare che annuncia la fase successiva nell’evoluzione dell’azienda.

Quello che è sensazionale, è che Patagonia ha creato un movimento nel movimento, incoraggiando altri brand a fare lo stesso.

Ikea (si il gigante dei mobili a prezzo accessibile) durante il Black Friday ha lanciato un programma nel Regno Unito e in Irlanda per la rivendita di prodotti di seconda mano. I clienti ricevono buoni da spendere in negozio, con il loro valore calcolato in base alle condizioni degli articoli restituiti. Il programma Buy Back rientra nel modello di business circolare (in cui materiali e prodotti vengono riutilizzati o riciclati) che Ikea sta cercando di adottare.

Il marchio di calzature e accessori sostenibili Allbirds (di cui abbiamo già parlato ad aprile a proposito del lancio delle scarpe in ed limitata ) ha optato per un Green Friday invece che il Black Friday, invitando i consumatori a “Rompere la tradizione, non il pianeta”. Invece di tagliare i prezzi, Allbirds li aumenterà (di 1 $) e i proventi aggiuntivi andranno direttamente a Fridays For Future, il movimento internazionale per il clima guidato dai giovani fondato dall’attivista per il clima Greta Thunberg.

Insomma se non ci credi tu per primo, perché dovrebbero crederci i tuoi consumatori?

È questo il senso del ‘mini prontuario’ intitolato “Purpose more than a mission statement” preparato da McKinsey, che regala la sua visione delle 5P (se lo avete perso leggete la recensione del libro di Kotler e la presentazione delle 6P) in cui si legge:

Il Purpose può e deve essere misurato rigorosamente. In pratica, ciò significa identificare gli indicatori chiave di prestazione che sono legati allo scopo della tua azienda, monitorarli nel tempo e incentivare la tua organizzazione a raggiungere gli obiettivi. Ciò che viene misurato viene gestito, come notoriamente osservato da Peter Drucker. Il contrario è forse ancora più appropriato: ciò che si cerca di gestire dovrebbe essere misurato e su base coerente. Troppo spesso, le aziende confondono i benchmark ESG con le metriche di purpose. Gli standard di organizzazioni di terze parti come il Global Reporting Initiative (GRI) e il Sustainability Accounting Standards Board (SASB), sebbene importanti, non dovrebbero mai diventare la “coda” che scodinzola il cane nei rapporti ESG dell’azienda. Lo scopo dovrebbe provenire dall’interno e guidare le metriche univoche misurate e monitorate. Se la tua azienda inizia con il reporting ESG e poi “torna” al purpose, sta facendo il percorso a ritroso.

fonte: sito web McKinsey

Forse il problema è anche nel vocabolario. Non è ancora chiara la definizione di cosa sia il ‘Purpose’. ci viene in aiuto la ricerca dell’agenzia londinese ABA che definisce così il purpose:

“Your company’s reason for being beyond making money; the positive contribution you bring to the world.”

Secondo i risultati di questa indagine condotta su 227 senior leaders di piccole e medie imprese inglesi, il 28% crede che il proprio Purpose sia davvero ben presentato ai propri dipendenti, e solo il il 29% ai propri consumatori. Il 16% crede che sia ben comunicato alla propria comunità e il 20% alla propria industry.

Insomma la comunicazione è un anello debole nella catena del Valore, lo dice anche ConsumerLab che partendo dall’assunto che la Sostenibilità è un nuovo potente strumento di comunicazione soprattutto quando dedica maggiore attenzione al Consumatore per renderlo consapevole ha analizzato negli ultimi tre anni (2018 – 2019 – 2020) 1.127 Bilanci di Sostenibilità. Per quest’anno un gruppo di esperti ne ha individuati 210 (pubblicati nel 2020 e relativi all’esercizio 2019), e un secondo gruppo di 250 consumatori  attenti e sensibili agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dai 210 Bilanci suddetti ha espresso preferenze per i 44 ritenuti più interessanti, arrivando alla conclusione che il consumatore “non legge Bilanci paludati, prolissi, piatti e complicati, uniformi per essere (solo presuntivamente) comparabili; anzi li bolla come furberie di marketing.”

Sarà che forse, al di là di tante parole (quelle usate nei report di rendicontzione non finanziaria) mancano dei KPI’s significativi?  Purpose Disruptors  (la rete industriale che lavora per affrontare i cambiamenti climatici) ha riconosciuto la necessità di iniziare a misurare le emissioni di gas serra generate dalla pubblicità.

La metodologia Ecoffectiveness si compone di tre elementi:

  • Rendicontazione trasparente dell’aumento incrementale delle emissioni di gas serra indotto dalla pubblicità, per creare un set di dati di base da cui è possibile monitorare i miglioramenti
  • Stabilire uno standard di settore “Return on CO2e” (il reddito generato per ogni tonnellata di CO2 equivalente emessa) – per fornire un approccio coerente che consenta il confronto tra settori e campagne
  • Costruire intuizioni identificando le leve dell’ecoffettività

Jonathan Wise, co-fondatore di Purpose Disruptors, ha dichiarato: “Uno degli obiettivi primari della pubblicità è vendere e tuttavia, come stratega, sono arrivato a rendermi conto che più bravo ero nel mio lavoro, più danni ho generato attraverso esso. Questo perché una conseguenza dell’aumento delle vendite è l’aumento delle emissioni di anidride carbonica che questo consumo genera. Se vogliamo celebrare la crescita delle vendite che creiamo, dobbiamo assumerci la responsabilità del relativo aumento di CO2. Dipende da noi. Questa nuova iniziativa fornisce un modo semplice per l’industria nell’aiutare la società e le imprese a ridurre la nostra impronta di carbonio collettiva “.

Non male, visto che anche per Deloitte la misurazione è al centro: i principi chiave alla base del loro scorecard dell’impatto sociale ruotano intorno a indicatori appropriati per catturare il valore aziendale dell’impatto sociale, indicatori che possono quantificare i costi e i benefici delle iniziative o degli effetti da monitorare. Oltre a mantenere la comparabilità interna, utilizzare indicatori coerenti con gli approcci standard di impatto sociale facilita il confronto tra pari, ove possibile. 

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